Crisi bancarie, come tutelarsi

Argomento caldo di questo momento, la gestione delle crisi bancarie è stata finora affidata allo Stato attraverso l’iniezione di fondi pubblici. La Banca centrale europea ha calcolato costi per aiuti ai sistemi finanziari a carico degli Stati europei pari a 800 miliardi tra il 2008 e il 2014 e conseguente aumento del debito pubblico, ad esempio 250 miliardi in Germania e 60 in Spagna, mentre per l’Italia sembra essere andata meglio con soli 4 miliardi di euro impiegati nei salvataggi delle banche.
La nuova normativa europea entrata in vigore lo scorso primo gennaio, la Bank Recovery and Resolution Directive, ha come obiettivo proprio quello di istituire un regime armonizzato con regole analoghe in tutti i Paesi europei. La direttiva prevede il coinvolgimento dei privati in caso di crisi bancaria e per i singoli Paesi affida alle autorità di risoluzione il compito di intervenire per tempo e gestire la crisi nei tempi necessari.
In Italia l’autorità è stata attribuita alla Banca d’Italia che in caso di dissesto finanziario di una banca, se l’aumento di capitale o la liquidazione ordinaria non fossero sufficienti a evitarlo, può stabilire la risoluzione della banca stessa.
La Banca d’Italia procede infatti alla bad bank, un veicolo che gestisce la liquidazione delle attività deteriorate in tempi ragionevoli, oppure provvederà al bridge bank, il trasferimento temporaneo di attività e passività a un’entità costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato. E se tutto questo non fosse sufficiente, la BRDD rende legittimo il bail-in, una procedura che consente un intervento precoce riducendo al minimo l’impatto del dissesto sull’economia e sul sistema finanziario.
Il bail-in, letteralmente ‘salvataggio dall’interno’ è uno strumento che consente alle autorità di risoluzione di disporre la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca.
In caso di bail-in si rispetta un ordine di pagamento che è dichiaratamente proporzionale alla rischiosità degli investimenti. I primi a pagare sono infatti gli azionisti della banca, che si vedranno ridotti o azzerati i propri titoli. Seguono i detentori di obbligazioni, che hanno diritto al rimborso solo dopo che siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori, i creditori chirografari, quindi i titolari di conti correnti per un importo superiore a 100.000 euro.
Sono esclusi i depositi protetti (vale a dire quelli ammessi al rimborso da parte di un sistema di garanzia dei depositi, fino a 100.000 euro), le passività garantite, le disponibilità detenute dalla banca per conto del cliente (per esempio il contenuto della cassetta di sicurezza o i titoli depositati in un conto apposito), i crediti da lavoro o dei fornitori.
È bene allora, soprattutto alla luce degli ultimi fatti e della vicenda che ha visto coinvolte quattro banche (Banca Marche, CariChieti, Banca Etruria e CariFerrara), valutare lo ‘stato di salute’ di una banca attraverso un indicatore, o ratio. Quello più utilizzato è il Common equity tier 1 (Cet1) dato dal rapporto tra il patrimonio netto della banca (capitale ordinario versato) e la attività ponderate per il rischio. La normativa europea stabilisce un limite minimo dell’indice pari all’8%: quanto maggiore sarà il valore, tanto più solido sarà l’istituto.